I personaggi di queste opere li incontro per le strade, nei parchi e nei grandi magazzini, nei ristoranti. Sembrano tutti uguali, omologati e addomesticati da un sistema che lentamente ha corroso e coperto gli sguardi di falsa felicità, un sistema in cui apparire vale più di essere.
L’oppio dei social media sta trasformando le persone in attori, protagonisti di un film virtuale, in cui niente e nessuno esiste realmente.
“Viviamo con una vogliuzza per il giorno, una per la notte …” Nietzsche.
“Della vita abbiamo solo una concezione quantitativa. Vivere a lungo è il nostro ideale. Il come non ci riguarda più…“ U. Galimberti.
Queste opere nascono senza la necessità di un impianto progettuale o di una bozza iniziale. Un linguaggio puro, libero da qualsiasi condizionamento delle tecniche tradizionali. È necessario aggiungere e sottrarre per liberare le immagini dal troppo, dal superfluo, e costruire uno spazio da riempire di luce.
Nella forma appena accennata, come se fosse erosa dal tempo, il corpo diventa un prisma che scompone la luce e la fa diventare colore, quel colore che rivela noi stessi solo agli occhi di chi sa guardare.
Una profonda indagine sensoriale della parte più scura e intima dell’anima, in cui si celano i segreti della vita e della morte, e del colore che diventa speranza per un’esistenza più vera, più viva.
Giuseppe Toscano, aprile 2024
Se ci si sofferma ad ammirare la precedente arte figurativa di Giuseppe Toscano, come, ad esempio, le opere complesse di Contaminazione, Ri-contaminazione e le Crisalidi, che ci avevano abituati a volti di un’inesprimibile bellezza e intensità, si rimane sacralmente in silenzio di fronte alle sue nuove opere: figure senza volto, vaganti in uno spazio vuoto di senso, quasi alla ricerca faticosa di trasformare un lo che ammala in un Sé che guarisce.
La crescita dell’artista vibra nella ricerca, quasi dannata, di lasciare i vestiti per strada, senza temere la nudità dell’anima a cui anela. Si sente il suo imperante passaggio dall’avere all’essere, dalla ricerca della bellezza all’educazione del guardare, dall’amore che ammala all’amore che guarisce.
Nell’ultima parte della sua vita Nietzsche stava diventando cieco, ed è proverbiale come avesse colto che, grazie alla sua cecità, poteva trovare il tempo per guardare finalmente dentro se stesso.
Qui Toscano ci prende tutti per mano e ci conduce al sacro viaggio dell’arte del togliere, per passare dall’assenza di valori all’essenza che conta. La sua genialità consiste nel saper leggere tra le righe.
Se si osserva attentamente, i suoi personaggi senza volto sono carichi di luce, la stessa che a tratti buca la calda nebbia del bianco accecante che li circonda, quasi a rimandare alla necessità di spogliarsi senza paura, per incontrare finalmente solo ciò che si è.
Abbandonando gli avatar dei social che tradiscono la nostra vera identità, è necessario spogliarsi e vagare nel pieno di un vuoto, per trovare la luce della speranza. Hillman la chiamerebbe quel saper ” fare anima”, quello stare con l’immagine dell’anima che ci avvicina agli dei, e da quella prospettiva, trovare il coraggio di guardare ai bisogni dell’io in questo spazio sacro, in quella capacità di darsi per poter essere finalmente ciò che si è. Per scorgere il colore dell’anima, quella che per Kandinsky era la “liberazione dalle catene del mondo delle apparenze, a favore dell’interiorità verso il luogo dello spirito”.
Toscano lancia una sfida perversa e ci invita a stare nella nudità dell’Io come condizione necessaria per vedere la luce dell’anima. Sentire il calore, quello che il fuoco del suo encausto ancora ci trasmette, per illuminare la vita che ci resta.
Dott.ssa Michela Piu, Psicologa e Psicoterapeuta, Padova 2024